Eihei Dogen: se siamo già dei Buddha, perché praticare?

The_buddha_hall_of_Tiantong_Temple

[…] Da quando decisi di dedicarmi alla ricerca del vero modo di vivere secondo l’insegnamento di Sakyamuni, ho fatto visita a maestri in ogni parte del Giappone. […] Tuttavia, non essendo riuscito neppure con lui a realizzare completamente l’insegnamento di Sakyamuni, mi recai in Cina alla ricerca di un vero maestro”. […]

Sulla nave che lo portava in Cina ebbe il primo incontro con il Chan. Un vecchio Tenzo, il responsabile delle cucine di un tempio […], si era recato sulla nave per acquistare dei funghi: Dogen, quando seppe di essere di fronte a un monaco buddhista, lo invitò a rimanere sulla nave per la notte, ma il Tenzo declinò gentilmente l’invito, dicendo che non aveva chiesto il permesso di rimanere fuori la notte, e inoltre se non fosse ritornato in tempo, il giorno dopo non avrebbe potuto preparare i funghi. Dogen gli chiese gentilmente perché, alla sua età, non lasciasse quel duro lavoro a persone più giovani e non si dedicasse piuttosto allo studio dei sutra e alla pratica dello Za-zen. Il Tenzo rispose che il suo lavoro era già la pratica della Via. Dogen rimase perplesso: […] Ebbe altri incontri col Tenzo, che gli aprirono piani nuovi di comprensione. La sua domanda:

“Se siamo già dei Buddha, perché praticare?”

cominciava a trovare risposta.

Stava già per lasciare la Cina quando, ritornato nel monastero sul monte Tiantong, apprese della morte del vecchio abate, e cominciò a praticare sotto la guida di Rujing, che gli era succeduto, e che egli riconobbe finalmente come il vero maestro: era il maggio del 1225.

Rujing (1163-1228) è il grande riformatore della scuola Soto. Prima di lui il chan aveva di volta in volta conosciuto gli eccessi di una pratica incentrata esclusivamente sullo Za-zen oppure di interminabili dispute intellettuali e filosofiche: Rujing, rinvenendo nel Chan la visione unitaria di corpo spirito, e operando all’ unificazione armonica dei due momenti di pratica e pensiero, poneva le basi per il rinnovamento del buddhismo in un’epoca di decadenza. Presso di lui le regole della disciplina (Vinaya), che guidavano la vita monastica, erano rigorosamente rispettate. Si praticava la meditazione e il silenzio, la recitazione e lo studio dei sutra, il lavoro a servizio della comunità, e i monaci avevano la testa rasata e curavano la pulizia personale e dei luoghi, anche i più umili come i bagni. Ogni loro gesto, azione, doveva divenire manifestazione della Via. In seguito Dogen avrà parole amorevoli per il vecchio maestro che aveva dedicato l’intera vita, senza tentennamenti, a indicare a tutti gli esseri la possibilità di vivere da illuminati questa esistenza. Accadde una notte mentre sedeva in meditazione, che un monaco, stanco, si addormentasse: Rujing gli si avvicinò e lo scosse dicendo:

“Nel chan mente e corpo sono da abbandonare: a che serve dormire?”.

A quelle parole non dirette a lui, Dogen realizzò l’illuminazione. Si recò quindi dal maestro e gli riferì che

“mente e corpo erano abbandonati” (shinjindatsuraku), trasformati.

Rujing riconobbe l’autenticità dell’illuminazione di Dogen, e lo confermò suo successore nella linea del Soto Zen. […]

Tratto da: Profilo biografico e religioso di  Eihei Dogen

Eihei Dogen: se siamo già dei Buddha, perché praticare?ultima modifica: 2015-06-27T10:26:22+02:00da loresansav1
Reposta per primo quest’articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog.
I campi obbligatori sono contrassegnati *