“E’ inutile dire che il compito o il ruolo del koan è aiutare l’allievo ad aprire il suo occhio Zen, ad approfondire ciò che ha conseguito nello Zen e a perfezionare la sua personalità Zen. Nell’addestramento Zen il Koan è un mezzo, ma nella pratica concreta esso non conduce l’allievo su una scorciatoia facile e piana, come gli altri mezzi comuni. Al contrario, il koan getta l’allievo in un labirinto ripido e scosceso. In cui egli perde il senso dell’orientamento. Ci si aspetta che superi tutte le difficoltà e trovi da sé la via d’uscita. In altri termini, il koan è il mezzo più difficile e disagevole attraverso cui l’allievo può aprirsi un varco. Supponete che un uomo cieco cammini con fatica poggiandosi su un bastone e basandosi sull’intuito, Il ruolo del koan è togliergli senza pietà il bastone e farlo cadere dopo averlo fatto girare su se stesso. Adesso ha perduto il suo unico appoggio e il suo intuito e non sa dove andare o come proseguire. E’ stato gettato nell’abisso, senza pietà ci ha tolto l’intelletto e la conoscenza. In breve il ruolo del koan non è condurci facilmente al satori, ma, al contrario farci perdere la strada e gettarci in un grande dubbio”.
Tratto da Mumonkan, a cura di Zenkei Shibayama,
Ed. Ubaldini, 1977, pag. 104
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Fonte Immagine: Rivista Atlante, 1970