Come il sōzu Genpin lasciò il mondo e scomparve – di Kamo no Chōmei

monkHos-shinshū (letteralmente “Raccolta di hosshin“, dove hosshin designa l’aspirazione al distacco dal mondo, che spesso ma non necessariamente si identifica con il sorgere della vocazione alla vita monastica buddhista), una collezione di aneddoti (setsuwa) di cui la tradizione attribuisce la compilazione a Kamo no Chōmei (1153-1216), scrittore e poeta che il breve resoconto autobiografico Hōjōki (Ricordi del mio eremo) ha consegnato come uno dei massimi nomi della letteratura giapponese. loto1

  COME IL SŌZU GENPIN LASCIO’ IL MONDO E SCOMPARVE

Molto tempo fa ci fu un uomo chiamato Genpin sōzu1. Era un monaco dello Yamashinadera, tenuto in altissima considerazione per la sua cultura. Tuttavia dal profondo del cuore detestava il mondo, e nemmeno amava i con-tatti all’interno del tempio. Si costruì con le sue mani una modesta capanna di erbe sulle sponde del fiume Miwa, e là viveva nel nascondimento. Al tempo dell’imperatore Kanmu5 questo fatto si riseppe a corte, ed egli fu perentoriamente chiamato alla capitale: non potendo in alcun modo rifiutare, riluttante vi andò. Tuttavia probabilmente si sentiva ancor più a disagio, e quando l’imperatore di Nara gli conferì la carica di daisōzu, presentò il suo rifiuto con una poesia che diceva:

“Le maniche della mia veste

che ho sciacquato

nella pura corrente del fiume Miwa,

non sia mai

che io di nuovo le insudici”

Più o meno in quel periodo, all’insaputa persino dei suoi discepoli e dei suoi inservienti, scomparve non si sa dove. Per quanto si facessero ricerche in ogni possibile luogo, fu tutto inutile. I giorni trascorsero, ma inutilmente: e lo piansero assai non solo quelli che gli vivevano vicino, ma anche tutta quanta la gente. Passati poi alcuni anni, un uomo che era stato suo discepolo si recava per affari nella regione dello Hokurikudō . Ad un certo punto lungo la strada vi era un grande fiume. Dopo avere atteso il traghetto, al momento di salire a bordo guardò il barcaiolo: aveva l’aspetto di un vecchio monaco, ma con i capelli così lunghi che si potevano tutti raccogliere insieme, e con indosso un sudicio abito di canapa. Osservando il suo strano aspetto, vi trovò qualcosa che gli tor-nava familiare, e mentre si sforzava di ricordare a chi mai assomigliasse, lo rico-nobbe: era il sōzu scomparso, di cui per anni era stato discepolo. Guardò meglio caso mai avesse preso un abbaglio, ma non c’era possibilità di dubbio.

Trattenendo le lacrime che prorompevano per l’improvvisa emozione, mantenne un’espressione normale; gli sembrò che anche l’altro lo avesse riconosciuto, e che intenzionalmente evitasse il suo sguardo. Avrebbe voluto correre da lui, domandargli il perché mai di tutto questo, ma c’era una gran folla, e la cosa sa-rebbe apparsa piuttosto strana. Perciò passò oltre ripromettendosi, in occasio-ne del viaggio di ritorno, di andarlo a trovare, magari di notte, nella sua abitazione, e di parlare con calma con lui. Ma sulla via del ritorno giunto al luogo del traghetto vide che c’era un altro traghettatore. Sull’istante sentì la vista annebbiarsi e il respiro mancargli; e quando volle informarsi nei particolari gli fu detto: “Sì, c’era un monaco come dite voi. Per anni è stato traghettatore qui, ma non come i soliti buoni a nulla: purificava continuamente il suo cuore e non faceva altro che recitare il nenbutsu. Non usava chiedere regolarmente il prezzo del passaggio, e non mostrava di desiderare nient’altro se non il cibo necessario giorno per giorno; perciò tutti lo avevano assai caro. Chissà mai cosa sarà suc-cesso: qualche tempo fa è scomparso e non si è più visto, e dove sia andato non si sa”.  A questa risposta fu pieno di tristezza e di sconforto. Calcolò i mesi ed i giorni: corrispondevano esattamente al tempo in cui lo aveva incontrato. E’ evidente che se ne era andato ancora una volta, pensando che la sua identità era stata scoperta. Si dice che questo episodio si trovi scritto anche in un racconto (monogatari); io qui mi sono limitato a metterlo per iscritto nella narrazione approssimativa che me ne è stata fatta. Si dice anche che sia di Genpin questa poesia del Kokin Wakashū

“La sagoma dello spaventapasseri (= del sōzu)12

di guardia alle risaie sui monti

come è patetica!

Ora che l’autunno è terminato

non c’è nessuno che venga a fargli visita”.

Poiché egli ha vagato qua e là come le nuvole e il vento, forse c’è sta-to anche un momento in cui avrà fatto il guardiano dei campi. In tempi recenti c’è stato un uomo noto come il sōzu Dōken del Miidera. Dopo aver letto quel racconto, commosso fino alle lacrime, disse: “Fare il traghettatore è davvero una via per attraversare incontaminati questo mondo!”.

E allestì una barca per il lago Biwa; o meglio, questo fu solo un progetto, e la barca andò in rovina senza essere utilizzata sulla riva del fiume a Ishiyama: tuttavia nobile e degna è l’aspirazione che egli aveva espresso

Tratto da: Hosshinshū di Kamo no chōmei (1153-1216)

Come il sōzu Genpin lasciò il mondo e scomparve – di Kamo no Chōmeiultima modifica: 2021-05-30T15:50:39+02:00da loresansav1
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