.Il complesso dei Klesha è introdotto da Patanjali negli Yoga Sutra, nel secondo libro il Sadhana Pada – La Via della strategia, dal sutra 2,3-9. E’ una sequenza molto importante dove sono indicate le cause della sofferenza. Patanjali ci dice che il motivo per cui noi soffriamo è dovuto a cinque cause:
- Avidya Mancanza Di Consapevolezza
- Asmità Il Senso Dell’io
- Raga – Attaccamento
- Dvesha – La Repulsione
- Abhinivesha – L’Attaccamento All’io Individuale
2.3 – Avidyâ-asmitâ-râga-dvésha-abhinivéshâh kléshâh.
L’ignoranza, il senso dell’io l’attaccamento, la repulsione, e l’attaccamento all’io individuale, sono questi ostacoli che producono dolore. Sono le cinque sofferenze; sono i cinque legami che ci tengono stretti alla vita terrena
Per raggiungere lo stato di Yoga dobbiamo conoscere i movimenti dei Klesha. Ogni volta che noi compiamo un’azione i klesha gettano la mente, nelle onde di modificazioni e di pensieri vorticosi (vrtti).
Patanjali dopo aver analizzato queste 5 cause dice che, come quando si vuole sradicare completamente un albero, lo si deve recidere, tagliare alla radice, perché sarebbe inutile eliminarne solo qualche foglia o qualche ramo, così noi se vogliamo uscire dalla dipendenza della sofferenza psicologica, dobbiamo agire sulla sua prima causa Avidya: la mancanza di consapevolezza.
Ma di cosa?
Di chi c’è veramente dietro al mio nome.
Chi sono io davvero?
Qual è il vero sé che mi abita?
Chi è veramente che si sta dicendo: io sono Marco, Francesca, Andrea ecc…?
Allora si scopre che quel senso di io, a cui diamo la priorità è limitato (Asmita) e che a monte c’è uno sguardo sempre presente, attento e non-limitato (Atman) non soggetto ad attaccamento (Raga), non soggetto a repulsione (Dvesha) e che non ha alcuna paura (Abhisvesa) della morte perché non è mai nato e quindi non è destinato a morire.
Prendere coscienza di quello sguardo dietro al mio nome, di ciò che in me è sempre presente, è il punto importante iniziale che permette di risolvere la dipendenza dalla sofferenza psicologica e creare così le condizioni per l’esperienza dello stato di Yoga
Questa è la grande intuizione dell’India.
In Occidente siamo figli del trionfo dell’individuo, dell’importanza della persona, abbiamo dato tanto peso all’individualità e più si è sofferenti più si è affascinanti. Abbiamo vissuto il fascino della sofferenza e quindi chiaramente per noi è molto più difficile arrivare ad abbracciare ciò che ci dicono i Rishi (i saggi dell’India) “esci dal senso dell’io e vivi in una gioia incondizionata”. Per noi è utopia perché ci sembra una cosa impossibile da poter raggiungere. Il nostro io è forte e ben radicato ed è anche molto attaccato alla sua sofferenza, alla nostra sofferenza siamo molto legati e quindi facciamo fatica a superarla
Manjusri: – Che cosa deve estirpare il bodhisattva per liberare gli esseri viventi?
Vimalakirti: – Per liberare gli esseri viventi deve estirpare i loro klesha, le loro impurità, le loro afflizioni.
Manjusri: – Che cosa deve fare il bodhisattva per estirpare i loro klesha?
Vimalakirti: – Deve sostenere la giusta vigilanza –
Manjusri: – Ma cosa deve fare il bodhisattva per sostenere la giusta vigilanza?
Vimalakirti: – Deve difendere il non-nato e l’imperituro.
Manjusri: – Cos’è il non-nato, cos’è l’imperituro?
Vimalakirti: – Il non-nato è il male che non si presenta e l’imperituro è il bene che non ha fine.”
Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra
Nei prossimi articoli tratterò nello specifico ogni singolo klesha.
Buona pratica!